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Semplicità del Natale

di Carlo Maria Martini
Il presepio è qualcosa di molto semplice, che tutti i bambini ca­piscono. E’ composto magari di molte figurine disparate, di di­versa grandezza e misura: ma l'essenziale è che tutti in qualche modo tendono e guardano allo stesso punto, alla capanna dove Ma­ria e Giuseppe, con il bue e l'asino, attendono la nascita di Gesù o lo adorano nei primi momenti dopo la sua nascita.

Come il presepio, tutto il mistero del Natale, della nascita di Ge­sù a Betlemme, è estremamente semplice, e per questo è accompa­gnato dalla povertà e dalla gioia.

Non è facile spiegare razionalmen­te come le tre cose stiano insieme. Ma cerchiamo di provarci.


Il mistero del Natale è certamente un mistero di povertà e di im­poverimento: Cristo, da ricco che era, si fece povero per noi, per farsi simile a noi, per amore nostro e soprattutto per amore dei più poveri.


Tutto qui è povero, semplice e umile, e per questo non è difficile da comprendere per chi ha l'occhio della fede: la fede del bambino, a cui appartiene il Regno dei cieli. Come ha detto Gesù: «Se il tuo occhio è semplice anche il tuo corpo è tutto nella luce» (Mt6, 22).


La semplicità della fede illumina tutta la vita e ci fa accetta­re con docilità le grandi cose di Dio. La fede nasce dall'a­more, è la nuova capacità di sguardo che viene dal sentirsi molto amati da Dio.


Il frutto di tutto ciò si ha nella parola dell'evangeli­sta Giovanni nella sua prima lettera, quando descrive quella che è stata l'esperienza di Maria e di Giuseppe nel presepio: «Abbiamo veduto con i nostri occhi, abbiamo contemplato, toccato con le nostre mani il Verbo della vita, perché la vita si è fatta visibile». E tutto questo è avvenuto perché la nostra gioia sia perfetta. Tutto è dunque per la nostra gioia, per una gioia piena (cfr. 1 Gv l, 1- 3). Questa gioia non era solo dei contemporanei di Gesù, ma è anche nostra: anche oggi questo Verbo della vita si rende visibile e tangibile nella nostra vita quotidiana, nel prossimo da amare, nella via della Croce, nella preghiera e nell'eucaristia, in particolare nell' eucaristia di Natale, e ci riempie di gioia.


Povertà, semplicità, gioia: sono parole semplicissime, elementari, ma di cui abbiamo paura e quasi vergogna.


Ci sembra che la gioia perfetta non vada bene, perché sono sempre tante le cose per cui preoccuparsi, sono tante le situazioni sbagliate, ingiuste. Come po­tremmo di fronte a ciò godere di vera gioia? Ma anche la semplicità non va bene, perché sono anche tante le cose di cui diffidare, le cose complicate, difficili da capire, sono tanti gli enigmi della vita: come potremmo di fronte a tutto ciò godere del dono della semplicità? E la povertà non è forse una condizione da combattere e da estirpare dalla terra?


Ma gioia profonda non vuol dire non condividere il dolore per l'ingiustizia, per la fame del mondo, per le tante sofferenze delle persone.


Vuol dire semplicemente fidarsi di Dio, sapere che Dio sa tutte queste cose, che ha cura di noi e che susciterà in noi e negli altri quei doni che la storia richiede. Ed è così che nasce lo spirito di po­vertà: nel fidarsi in tutto di Dio. In Lui noi possiamo godere di una gioia piena, perché abbiamo toccato il Verbo della vita che risana da ogni malattia, povertà, ingiustizia, morte.


Se tutto è in qualche modo così semplice, deve poter essere sem­plice anche il crederci. Sentiamo spesso dire oggi che credere è diffi­cile in un mondo così, che la fede rischia di naufragare nel mare dell'indifferenza e del relativismo odierno o di essere emarginata dai grandi discorsi scientifici sull'uomo e sul cosmo. Non si può negare che può essere oggi più laborioso mostrare con argomenti razionali la possibilità di credere, in un mondo così.


Ma dobbiamo ricordare la parola di san Paolo: per credere bastano il cuore e la bocca. Quando il cuore, mosso dal tocco dello Spirito da­toci in abbondanza (cfr. Rm 5,5; Gv 3,34), crede che Dio ha risusci­tato dai morti Gesù e la bocca lo proclama, siamo salvi (cfr. Rm l0, 8­-12). Tutte le complicazioni, tutti gli approfondimenti che talora ci confondono, tutto ciò che è stato sovrimposto attraverso il pensiero orientale e occidentale, attraverso la teologia e la filosofia, sono rifles­sioni buone, ma non ci devono far dimenticare che credere è in fondo un gesto semplice, un gesto del cuore che si butta e una parola che proclama: Gesù è risorto, Gesù è Signore! E un atto talmente sempli­ce che non distingue fra dotti e ignoranti, tra persone che hanno com­piuto un cammino di purificazione o che devono ancora compierlo. Il Signore è di tutti, è ricco di amore verso tutti coloro che lo invocano.


Giustamente noi cerchiamo di approfondire il mistero della fede, cerchiamo di leggerlo in tutte le pagine della Scrittura, lo abbiamo declinato lungo vie talora tortuose. Ma la fede, ripeto, è semplice, è un atto di abbandono, di fiducia, e dobbiamo ritrovare questa sem­plicità. Essa illumina tutte le cose e permette di affrontare la comples­sità della vita senza troppe preoccupazioni o paure.


Per credere non si richiede molto. Ci vuole il dono dello Spirito Santo che egli non fa mancare ai nostri cuori e da parte nostra occorre fare attenzione a pochi segni ben collocati. Guardiamo a ciò che suc­cesse accanto al sepolcro vuoto di Gesù: Maria Mad­dalena diceva con affanno e pianto: «Hanno portato via il Signore e non sappiamo dove l'hanno posto». Pietro entra nel sepolcro, vede le bende e il sudario piegato in un luogo a parte e ancora non capi­sce. Capisce però l'altro discepolo, più intuitivo e semplice, quello che Gesù amava. Egli «vide e credette», riferisce il Vangelo, perché i piccoli segni pre­senti nel sepolcro fecero nascere in lui la certezza che il Signore era risorto. Non ha avuto bisogno di un trattato di teologia, non ha scritto migliaia di pagine sull'evento. Ha vi­sto piccoli segni, piccoli come quelli del presepio, ma è stato suffi­ciente perché il suo cuore era già preparato a comprendere il mistero dell'amore infinito di Dio.


Talora noi siamo alla ricerca di segni complicati, e va an­che bene. Ma può bastare poco per credere se il cuore è di­sponibile e se si dà ascolto allo Spirito che infonde fiducia e gioia nel credere, senso di soddisfazione e di pienezza. Se siamo così semplici e disponibili alla grazia, entriamo nel numero di coloro cui è donato di proclamare quelle ve­rità essenziali che illuminano l'esistenza e ci permetto­no di toccare con mano il mistero manifestato dal Ver­bo fatto carne. Sperimentiamo come la gioia perfetta è possibile anche in questo mondo, nonostante le soffe­renze e i dolori di ogni giorno.



Carlo Maria Martini
(Fonte:  C.M. Martini - P. Messa, L'infinito in una culla. San Francesco e la gioia del Natale, Edizioni Porziuncola, Assisi)




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