QUELLI DELLA VIA
  Il portale di chi è alla ricerca di Verità 

 




 

Cristo nel canestro
di Vittoria Prisciandaro

dal dossier "Se la teologia è scalza" -  JESUS - dicembre 2001

Complice novembre mite, gli alberi di agrumi parto­riscono frutti prematuri. L’ibiscus è carico di fiori sanguigni, carnosi, che richiamano altre latitudini. In lontananza fa capolino il profilo delle Eolie. Forse è da questo colle che Antonello da Messina contem­plò il paesaggio ritratto dietro la Crocifissione, oggi conservata a Bucarest. Più di un secolo dopo, nel 1583, su questa altura cercarono ispirazione altri uomini. Gli eredi dei frati eremiti, che agli inizi del XIII secolo si stabilirono sul monte Carmelo in Terra san­ta, qui, nel silenzio e della pace, costruirono il santua­rio e il convento che oggi sovrastano il confuso aggio­menato urbano di Barcellona Pozzo di Gotto.

I Carmelitani non hanno mai lasciato questo po­sto, anche se nei secoli ha cambiato più volte destina­zione. Da venti anni ospita una piccola comunità di frati, che si sono ritrovati spinti dal desiderio di una vita religiosa in maggiore sintonia con i contenuti classici del monachesimo. «Volevamo vivere in pover­tà l'ascolto della Parola, la preghiera, ma anche l'in­contro con la gente, l'ospitalità. Ancorati al passato per rispondere alle domande di oggi», dice Alberto Neglia, siciliano. Fu lui venti anni fa, quando era pro­vinciale dei Carmelitani, a inviare una lettera a tutte le comunità d’Italia. Lanciava l'idea di un ritorno alle origini. Risposero in sei: un veneto, un marchigiano. un pugliese e due siciliani.

Oggi restano i quattro meridionali. Tutti entrati giovanissimi nell'Ordine e colleghi di studi alla Gregoria­na. La scelta del posto cadde su Barcellona Pozzo di Gotto, in passato sede del noviziato. «Scegliemmo il Sud perché al Nord già c'erano esperienze del gene­re», ricorda Alberto. A tenere desto il desiderio di rea­lizzare una nuova forma di convivenza ci pensarono altri religiosi - come le Piccole sorelle di Charles de Foucauld e i gesuiti operai - che avevano scelto la Si­cilia per sperimentare nuove modalità di presenza, sulla scia della vitalità post~conciliare.

Sin dal primo momento la comunità decise di condividere i suoi momenti di formazione e preghiera con la gente del posto. «Barcellona è la tipica cittadi­na della costa del Sud; in passato attività agricola e be­stiame, industria delle conserve, di liquori, di essen­ze. Oggi abbiamo molto lavoro nel terziario e una for­te speculazione edilizia», spiega Gregorio Battaglia, che alla teologia ha affiancato studi in Scienze politi­che. Qui, sull'asse Barcellona-Messina, gli sportelli bancari non si contano, c'è una ricchezza drogata, ba­sata su un'economia non legale».

La scelta di aprirsi al territorio ha significato an­che, per esempio. l'organizzazione di una settimana teologica su "I credenti di fronte alla mafia" e un'altra su "L'uso del denaro". «Abbiamo scelto di dare atten­zione al sentire teologico-spirituale di oggi, non in modo accademico ma vitale», dice Egidio Palumbo, l'unico frate non sacerdote del gruppo.

Nel tempo gli incontri sono diventati punto di rife­rimento per tanti che arrivano un po’ da tutta l'isola e, in estate, anche da altre regioni. È infatti tra lu­glio e agosto che si tiene l'appuntamento più consi­stente organizzato dalla piccola comunità: una setti­mana teologico~spirituale a più voci, dove uno degli ospiti fissi è il gesuita Pino Stancari.

«Le persone che abbiamo invitato agli inizi degli anni '80 erano quelle che conoscevamo per la nostra attività pastorale», dice Aurelio Antista, il priore del­la comunità. Poi, racconta, piano piano come una piccola catena la voce si è diffusa. E sono arrivati an­che altri. «Sono cristiani normali. Gente già impe­gnata o persone in ricerca. La porta è aperta a tutti». La settimana prevede la mattina momenti di rifles­sione più sistematica, il pomeriggio incontri di tipo seminariale e la partecipazione alla preghiera. Molti di quelli che arrivano in estate - il convento accoglie una trentina di posti letto - tornano poi durante l'anno. «Sono singoli. coppie, religiosi, laici. Oltre alla ri­chiesta formativa notiamo che c'è la voglia di condivi­dere la vita della comunità », osserva Alberto. Non è un modo di dire, Qui le porte sono aperte, letteral­mente. Basta partecipare alla messa della domenica mattina per capire cosa questo significhi: dopo la cele­brazione, dalla sacrestia che conduce direttamente al convento, l'aroma del caffè raggiunge chi si attarda ancora nelle navate della chiesa. Gli altri fedeli si sono in parte già riversati nell'ampia cucina del conven­to: il caffè è nel bricco, caldo. C'è chi taglia un dolce fatto in casa, chi offre dei pasticcini in pasta di man­dorle. Qualcuno deposita nel frigo vaschette d'allumi­nio che, più tardi, riveleranno prelibati involtini di melanzane o bocconcini di pesce spada. Nel frattem­po, uno degli ospiti della foresteria ha già imbraccia­to il mestolo in legno e rigira il sugo.

C'è aria di famiglia. La domenica come i mercoledì pomeriggio, dedicati agli incontri formativi, di spiri­tualità e biblici. O il venerdì, giorno della Lectio divina in preparazione alla celebrazione domenicale. Lungo il corridoio, davanti al camino spento, si chiacchiera e si sfogliano i giornali sul tavolino. Anche gli ultimi numeri di Oreb sono a disposizione degli ospiti. La ri­vista, nata nel ‘73 con la testata Presenza nel Carmelo, nell'86 è stata affidata alla comunità di Barcellona, che ne ha fatto un laboratorio di teologia vissuta. Si tratta, come recita la quarta di copertina, di "Quader­ni di riflessione e formazione per quanti desiderano coltivare una spiritualità che assuma e valorizzi il quotidiano". Il direttore responsabile è frate Alberto, che tra l'altro insegna allo Studio teologico di Cata­nia, aiutato da Egidio, che nella comunità è quello che si occupa della formazione e dello studio, della bi­blioteca e dell’animazione liturgica.

Il priore, Aurelio, fa il cappellano all'ospedale civi­co e assicura l'unica entrata fissa della comunità. Per il resto, i frati sin dal primo momento hanno ri­nunciato alle offerte per la foresteria («aiutate qual­cuno bisognoso o la Caritas diocesana», è l'invito ri­volto dal ciclostilato dove si dà accoglienza agli ospi­ti). Anche i matrimoni sono stati banditi dalla chie­sa, che non è parrocchia. E il cestino per le offerte durante la messa è poggiato su un tavolino, a parte. «Sin dall'inizio ci siamo interrogati sulle entrate», dice Gregorio, «e abbiamo deciso che la paga dell'ospe­dale era sufficiente al mantenimento di una fami­glia». Lui, quando la comunità era più numerosa, ha lavorato come bracciante per circa quattro anni. Poi gli è toccato l'ufficio di economo. Un giorno alla set­timana fa il volontario presso l'ospedale psichiatrico giudiziario. E ancora oggi alcuni dei colleghi cono­sciuti nei campi frequentano volentieri il convento e gli incontri di formazione.

 

"Costruire la città", "Il corpo vissuto", "Mistici in tempo di conflitti", "Indifferenza e scelta" sono alcu­ni dei temi che Oreb, il quadrimestrale, ha affrontato in questi anni. Spesso lo spunto nasce dai contributi elaborati durante le settimane estive o ai corsi di for­mazione del mercoledì. «Sono appuntamenti che ser­vono prima di tutto a noi, per il nostro aggiornamen­to», dice Egidio. In autunno, i mercoledì privilegiano più temi di spiritualità; da gennaio a Pasqua, invece, si passa a temi biblici. Per esempio, a fine ottobre, due incontri sono stati dedicati a Charles de Fou­cauld. Una settantina di persone si sono ritrovate nella sala riunioni, dove dalle pareti sorridono don Tonino Bello e monsignor Romero. Si usa un linguaggio semplice, si leggono i testi originali e si fa teologia del­l’incontro con l’altro, il diverso; si riflette sulla tenta­zione della visibilità e dell'efficienza; si parla della missione della Chiesa come presenza amica e frater­na nel mondo, semplice, povera, provvisoria, inutile.

Le gente partecipa, pone domande. Fa parlare la vi­ta e la cronaca. Per lo più provengono da Barcellona ma, per il lungo week-end di inizio novembre è arriva­to anche qualche amico fidato da altre province: Ra­gusa, Trapani... Per chi si ferma a dormire l'appunta­mento serale è nella cappellina al piano inferiore. L'altare è una pesante macina in pietra, proveniente da un antico mulino. Su una madia sorretta da due tor­ni, di quelli usati un tempo per premere l'uva, poggia un paniere in vimini: è il tabernacolo o, come l’ha efficacemente definito in una preghiera una suora napo­letana, "Cristo 'int’o canisto".

 

 

 Sei interessato a ricevere la nostra newsletter  ma non sei iscritto ?

 
Iscriversi è facile e gratuito.  

               ISCRIZIONE ALLA NEWSLETTER

 riceverai la newsletter di "TEMPO  PERSO", ogni settimana, direttamente nella casella di posta elettronica.